In continuità con gli appuntamenti dedicati al mese del Gay Pride, sabato 26 giugno alle ore 21:15, va in onda su Sky Arte e in streaming su NOW il documentario, in prima visione, TUTTINSIEME diretto da Marco Simon Puccioni nel 2020.
Attraverso l’utilizzo dei classici “filmini” fatti in casa il regista, e protagonista, della pellicola racconta la quotidianità della sua famiglia arcobaleno, tra il 2016 e 2019.
Marco e Gianpietro dopo anni di convivenza scelgono di avvalersi della Legge 76/2016, meglio conosciuta come Legge Cirinnà, e celebrano la loro unione civile. In seguito decidono di diventare genitori e, attraverso la procreazione assistita negli Stati Uniti, nascono i loro 2 gemellini e già qui sorgono i primi problemi burocratici legati all’eliminazione (dalla già citata Legge Cirinnà) della “stepchild adoption”, ovvero la possibilità di adottare i figli del coniuge o del compagno, escludendo di fatto il padre non biologico dalla tutela e dalla paternità.
Oltre alle questioni legali si fa luce anche su alcuni pregiudizi sociali che circondano questo nucleo famigliare “non tradizionale”. Capita così che bambini chiedano informazioni sulla madre dei gemelli o che alcune altre madri dei loro compagni di scuola si preoccupino del fatto che i 2 uomini possano scambiarsi effusioni davanti ai loro figli.
Tra momenti di allegria e non, il documentario mostra come le dinamiche di una famiglia arcobaleno non differiscono sostanzialmente da quelle delle famiglie “classiche” poiché un sano desiderio di genitorialità garantisce ai bambini di crescere sereni e in un contesto privo di pregiudizi, in cui l’amore è amore a prescindere dal genere, e che permette di avvalorare il principio per cui i genitori sono coloro che donano affetto e educano i bambini andando oltre il mero atto del concepimento.
Tuttavia, a tal proposito, è interessante sottolineare la volontà di Marco e Gianpietro di aver scelto di mantenere i rapporti con la donna che ha fisicamente generato i loro figli e di aver coniato un apposito appellativo per identificarla senza ricorrere alla cinica espressione di “madre surrogata”.